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bruciando

Pubblicato su da Sara Costantini

Ogni volta che mentre bevo te verde infuso sento odore di erba la mia mente torna inevitabilmente a quei giorni di surreale benessere e intimità che vissi alcuni anni fa in compagnia di lei.

 

Lei è una creatura speciale, dotata di mani piccole, intelligenza sopraffina, gusti musicali di nicchia, vestiti eccentrici, sessualità vivace. Ha un odore che ricorderebbe la sensazione di euforica impazienza che si ha da piccoli la notte della vigilia di Natale, se questa sensazione fosse un odore. Quando la vidi la prima volta eravamo in una spiaggia del sud. Lei beveva una Tennents mentre era sdraiata su un telo mare con stampata sopra una fantasia di tempi remoti. Era il disegno della silhouette di una ragazza sul surf, scolorata per l’usura, risalente quanto meno a venti anni prima. Beveva accompagnando ogni sorso ad una smorfia che le rendeva il viso buffo e meno grazioso di come fosse, il che era un peccato (oppure era una benedizione) dato che era straordinariamente bella. Almeno per me, lo era. Il caldo bestiale manifestava la sua ottemperanza facendo ricoprire i nostri corpi giovani di un leggero e lucido strato di sudore. Addosso era spiacevole, ma vederlo cospargere il corpo di lei era eccitante. Emanava erotismo e vita senza fare nulla di consapevolmente diretto a questi intenti. Ogni tanto lasciava la sua birra per riaccendere una canna spenta a metà, carica come una nuvola che sta per esplodere in temporale; la sabbia condensata sul fondo della bottiglia creava l’effetto di una trasformazione di stato, come se ci fosse una Medusa che guardandola la stesse pietrificando.

 

Quella sera ci ritrovammo invitati allo stesso party in campagna, ma dopo un paio di ore e di drink decidemmo di uscire e fare due passi, ma non sapevamo che non saremmo più rientrati. Parlammo a lungo dell’esistenzialismo francese, dei problemi di discriminazione di genere e del sesso tantrico, al punto tale da trovarci sopraffatti dal desiderio reciproco e non sapere come darvi espressione. Facevamo del paradossale sarcasmo sull’eros e il thanatos, eccitati al pensiero di poter morire per il piacere, elettrizzati dall’immagine di essere trafitti dalle frecce come san Sebastiano, nel mentre di un atto sessuale. Eravamo nella periferia di un paese microscopico in collina, finiti per una concausa di eventi chiusi fuori per strada, mentre tutti i nostri amici erano in una villa nei dintorni a consumare acidi e praticare chissà quali altri abusi corporei.

La luce fioca ma brillante emanata dalla luna rendeva i suoi occhi magnetici.
“Fra tre ore ho la seduta dal mio psicoanalista”
Guardai l’orologio, erano le cinque e mezza di notte. Alzando lo sguardo si riuscivano a intravedere i miliardi di corpi celesti maestosi e indifferenti nei confronti delle nostre vittorie e disgrazie, ciechi rispetto ai nostri timori e incapaci di trasmettere un qualsiasi tipo di sentimento.

“Non ti fa strano che proprio nelle stelle gli esseri umani abbiano riposto l’interpretazione del proprio destino, la programmazione delle attività, il calcolo delle affinità relazionali...”, commentai senza considerare la sua affermazione di poco prima.
Lei prese una canna spenta a metà; la fiamma del suo Bic fece apparire per un attimo la faccia di lei come L’Empire des lumière, per lasciarlo tornare, un secondo dopo, avvolto dal colore della strada poco illuminata nella notte.

È che siamo inspiegabilmente portati a cercare l’attenzione e le risposte di qualcuno che è destinato ad essere assente”, disse dopo aver espirato una nube di fumo denso.

L’aria d’un tratto si fece rarefatta, i contorni delle cose irreali.
La sola cosa che mi teneva ancorato al reale era lei: mi sentii trafitto dalla sua presenza, vivo per il solo fatto che stesse apparendo lei, di fronte a me, come quando durante un attacco di panico non percepisci nulla a parte la mano di qualcuno che tenacemente cerca di riportati alla coscienza.
Lei mi prese per le spalle e mi accompagnò verso il muro di una casa sulla strada. Era strano, io sapevo di esserci ma non sentivo chi fossi. E intorno a noi tutto era bizzarro, come la disposizione che assumono le cose accatastate dentro uno sgabuzzino, sebbene sia normale che sia quello il loro posto.

Era tutto sovrapposto, piani di realtà e fantasia; mi ricordai improvvisamente di un sogno che feci tempo prima: dormivo dentro la cuccia di un cane di grossa taglia, e mentre dormivo venivo assalito da una presenza femminile, suadente ma a suo modo coercitiva. Piacevole, ma in certa misura invadente. Era un sogno che mi venne in mente dal nulla, in quel momento, nella periferia di quel posto sperduto, mentre l’anima più bella che avessi mai incontrato mi scortava verso una parete, consapevole che forse stavo per avere uno svenimento.
Camminavo lentamente indietreggiando, e mentre lo facevo mi ricordai di quando da bambino la maestra mi disse che se si cammina all’indietro si rischia di calpestare il proprio angelo custode.

Ma il mio angelo custode era lei, era di fronte a me con la sua anima profondissima e surreale e mi disse “Bruciando.”
Non riuscivo a capire.
“Bruciando, si vive”

Iniziò a leccarmi i polsi, a mordermi i gomiti, e sollevando la mia camicia di seconda mano mi accarezzò il petto, l’addome, creando vortici di brividi sulla mia pelle che si lasciava vivere. Bruciavo, e lei alimentò la mia fiamma, ma non come notoriamente e negativamente si intende l’azione della benzina sul fuoco: non stavo perendo, stavo vivendo.
In un momento compresi la ragione per cui esistiamo.

 

Dopo quella notte ci perdemmo di vista.

Le nostre vite presero sentieri lontani, che in qualche modo ci riportarono in un passaggio comune, una tappa di sosta nell’esplorazione incredibile e senza senso che è la vita.

Il mio treno faceva scalo nella città in cui lei si era trasferita da alcuni mesi. Avevo alcune ore libere prima di prendere la coincidenza, ma il vero tempismo fu incrociare con lo sguardo le sue scarpe infangate ai piedi dello scaffale dedicato alla letteratura giapponese, mentre ero in una libreria alla ricerca di un libro per trascorrere il resto del viaggio. Cercando un autore che in genere espongono nel ripiano inferiore degli scaffali, vidi quelle scarpe e percepii la fragranza della vigilia di Natale. Alzai lo sguardo: era lei.

Non dicemmo nemmeno una parola.

Non sono un mago dell’empatia, ma sono quasi certo che abbia provato la stessa vertigine metafisica che provai io nel momento in cui, vedendola, mi ricordai di tutte le cose successe e di tutte quelle che l’oceano infinito delle possibilità poteva far accadere da quel momento in poi.

Nessuno spazio ai convenevoli, domande su come stesse andando la vita, o altre normalità del genere.

 

Passai tre giorni con lei, e con addosso vestiti assurdi comprati in un mercatino. Una pelliccia sintetica verde, degli occhiali da sole di plastica gialli, niente mutande (ogni momento poteva succedere che le sue mani cercassero il mio pene). La notte quando tornavamo a casa sua ci facevamo il bagno nella vasca e fumavamo fino ad avere i polmoni insensibili. La mattina lei curava il mio mal di testa con del te verde con una fetta di limone, stesi nudi sul terrazzo cercando di assorbire il più possibile gli ultimi stralci di sole ottobrini.

L’immagine più cara che conservo è dell’ultima mattina, sul suo terrazzo, persi in nessun pensiero, ma solo nel pieno vivere di quel momento. Dall’interno di casa sua proveniva la musica di Salad Days di Mac Demarco, mentre ogni tanto un treno attraversava in lontananza i binari, e un rumore della strada irrompeva in quella non silenziosa quiete. In bocca il retrogusto fresco del limone infuso nel te verde, sulle palpebre il calore del sole del tardo mattino. Nelle narici la fragranza della vigilia di Natale mescolata al thc. La sua pelle chiara attraversata dai raggi UV, sollecitata talvolta da un soffio di vento o da una mia mano che bramosa le carezzava un lembo di corpo, e impreziosita dall’inchiostro nero che sul fianco destro componeva la scritta BRUCIANDO.

 

Ogni volta che mentre bevo te verde infuso sento odore di erba la mia mente torna inevitabilmente a quei giorni di surreale benessere e intimità che vissi alcuni anni fa in compagnia di lei.

 

 

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