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ho le spinacine congelate

Pubblicato su da Sara Costantini

Dottor G. io proprio non capisco la sua ultima mail in cui mi dice che ho "evidenti elementi di instabilità da chiarire". Se sono evidenti come posso pretendere di chiarirli ulteriormente?
"Educazione al riconoscimento delle emozioni…"? Mi sta dicendo che sono emotivamente maleducata? Ah ci mancava solo questa…
No, non ho stilato nessuna griglia delle emozioni né comparato i relativi pensieri. Avevo iniziato a farlo, ma come tutte le cose suggeriteci o dateci come compito a casa, ho smesso di adoperarmi non appena l’indolenza ha prevalso sull’impegno. E poi cosa devo dirle… Io non voglio conoscermi davvero. Mi basta attestare il disastro umano che sono. Interrogarmi troppo su me stessa rischia di farmi scoprire qualcosa che non vorrei, e io di cose che non voglio ne ho già troppe. A iniziare da questi capelli. Non li sopporto e non sono mai della lunghezza giusta.

Una griglia delle emozioni... Preferirei impiegare la fatica della scrittura nella stesura di un’opera, dall’indiscutibilmente vacuo valore letterario, per mezzo della quale potrei incrementare il patrimonio di saggezza per il genere umano parlando della mia esperienza. Ma non posso farlo, perché non c’è nulla di superato in me.
Sono un punto inconcluso, uno scarabocchio vivente che nonostante i molti anni di studio, conserva ancora una pronuncia troppo marcata delle consonanti a inizio parola, una procrastinatrice professionista con gusti musicali contraddittori e incapacità di portare a termine qualsiasi progetto perché ossessionata dalla sua ipotetica fine, prima ancora che la cosa in questione abbia inizio.
Così, in attesa dell’illuminazione trascendentale, della verve definitiva, dell’esperienza di vita tormentata, assodata e risolta necessaria per la scrittura di un libro intero, mi limito a scrivere racconti – che poi racconti non sono ma piuttosto – descrizioni, riflessioni romanzate. Una disorganizzata epica del quotidiano totalmente priva di eroi e di insegnamenti validi. Non un messaggio promozionale mendace, ma piuttosto un curriculum aggiornato sul dissidio interiore che accompagna ogni mio momento, un curriculum molto ampio che denota esperienza nel campo dell’autosabotaggio e della complicazione autoindotta della vita, ma me la cavo bene anche con l’abbandono pseudo irrazionale all’investimento emotivo, al sentimentalismo più o meno becero, più o meno sano, per non parlare del tirocinio non pagato (o pagato forse troppo) checontinuo a frequentare nell’ambito della gestione dell’ansia e degli attacchi di panico.

Dottor G. lei sorride sempre quando mi vede arrivare in studio coperta da strati di maglioni presi al mercato dell’usato. Sorride e rinnova la sua domanda retorica «Ma sei venuta a piedi? Con questo freddo?» e d’estate «Con questo caldo?». Io odio sia il freddo che il caldo, eppure cerco di aprirmi all’esperienza dello spazio in cui mi trovo ad essere, esplorarlo, percorrerlo, se non altro per cercare di uscire un po’ da me stessa.
La primavera pare essere finalmente iniziata. È molto timida e discreta, non vuole dare troppo nell’occhio per non illudere noi esseri viventi che il gelo di questo inverno infinito sia giunto al suo termine definitivo. È per questo che il sole oggi risplende ma un vento pungente screpola ancora le mie labbra sempre un po’ crucciate.

Mentre scrivo c'è solo il rumore della Linea 21 che col suo motore a credo carbone irrompe di tanto in tanto nel silenzio di questa casa. Mi serve aria, anche se inquinata: dal fondo della busta di Maya riesco a ricavare la dose necessaria e sufficiente per una sigaretta quasi fumabile. Dalla finestra vedo la danza flebile dei rami di questi alberi rosei e fioriti che ciliegi non sono ma sembrano, il che cova un’interessante metafora concettuale: vediamo nelle cose ciò che vorremmo, oppure ciò che ci si palesa nella realtà, nella sua cieca neutralità [ma chi se ne frega di te umano che ti interroghi, io non voglio dirti assolutamente nulla, non addossarmi la responsabilità delle tue emozioni, il Romanticismo è finito da secoli e tu non sei un poeta maledetto!] merita di essere compreso per il suo fascino intrinseco privo di scopo? Vorrei sospendere il giudizio e limitarmi a osservare l’ondeggiare armonico di questi rami in qualità di reazione fisiologica al vento; eppure non riesco a non coglierne la morbidezza e la gratuità come fossero carezze spontanee di un amante pudico.

Ma dottor G. cosa si vede davvero? Lei cosa vede quando mi vede? Cosa capisce quando io parlo? E quando non trovo le parole, cosa ne deduce? La natura non ha chiesto di esserci. In fondo chi lo ha chiesto? Di certo non io – e qui potrebbe iniziare uno sproloquio deprimente e adolescenziale di matrice sartreana a cui non darò il minimo sfogo – di certo non lei, e nemmeno lui. Allora cosa ci spinge a pensare che ci sia davvero un interrogativo da porre alle cose o alle persone? Cosa ci spinge a voler trovare spiegazioni, interpretazioni, a dare voce ai fenomeni e fenomeno alla voce,  forse è la solitudine che ognuno porta dentro di sé che obbliga a relazionarsi con l'esterno in rapporti di causa ed effetti, ma a che pro? Se tanto ciò che tutto permea non è altro che il fatto crudo e quasi banale dell’esserci, di ogni cosa, gratuitamente, involontariamente. E quanto è frustrante sapere che qualcosa ci sia, ma non sia davvero…
Così accade per questi alberi, sembrano ciliegi ma non lo sono, dicevo. Che cazzo sono? E io chi cazzo sono nella mia sprezzante ignoranza per dire "che cazzo sono"? 

Sogno una dissacrazione delle mie interpretazioni, un annullamento della necessità di fare appello a ciò che mi circonda, sogno di abituarmi alla disillusione, alla consapevolezza che ciò che si da della realtà si è adombrato per potercene manifestare degli aspetti, è esattamente ciò che governa silenziosamente e a nostra insaputa tutto il resto. Dissociare l’effetto da quella che si crede la causa: miracolo contemporaneo. Ipotizzare la natura dell’aspetto di qualcosa che sempre sfugge rispetto alla facciata che ci si palesa. Aspetto da settimane un pagamento che non arriva, e da giorni un messaggio che so essere stato formulato, ma non ancora spedito. E cosa ricevo? Solo mail di Groupon e Trenitalia. Dottor G. ma cosa mi arrivano a fare mail di Groupon o Zalando, quando sono povera anche coi saldi, e anzi doppiamente diffidente quando qualcosa è in offerta!
Compro una scorta di spinacine Aia al -70% credendo di aver concluso l’affare più importante della mia carriera da fuorisede denutrita, ma tornata a casa scopro che scadono domani. Allora che faccio? Faccio una scorpacciata, invito gente a cena, le butto? Le congelo. Perché scadono domani, ma congelandole ne blocco il decorso, creo una parentesi temporale che ne sospende la sorte. Congelo oggi perché domani boh.  Faccio sempre così: potrei vivere il presente invece muoio al pensiero del futuro. Ma voglio credere che un accidente all’apparenza negativo possa rivelarsi la salvezza un giorno. Una sera di pioggia e tristezza potrò trovare conforto nella croccantezza tumorale di una spinacina di cui ho ignorato la scadenza. Ha senso? Avrei potuto valutare al supermercato, controllare prima, eventualmente scegliere un altro prodotto… E invece presa dall’impeto emozionale mi ritrovo con due chili di pollame in scadenza di cui preferisco sospendere l'esistenza in vista di un futuro inesistente. Che grottesca questa digressione alimentare, a quali derive teoretiche può spingerci il capitalismo...

Dottor G. la "bambina" che è in me, come la chiama lei, sta capendo la sensatezza di quel cinismo tanto decantato (ma solo a parole) durante gli anni (retrospettivamente non così tanto) tormentati dell'adolescenza. Nel teatro spesso grottesco dell’esistenza, ci troviamo costantemente a fare i conti con le nostre illusioni e con i fantasmi opprimenti della memoria, degli schemi mentali sedimentati che ci obbligano alla ripetizione estenuante di comportamenti e interpretazioni. Questo un po’ l’ho imparato con lei.
Ma voglio ridimensionare l’influenza mente-corpo,  e inserirmi nella corrente mente-catta che ci vuole tutti cyborg iper razionali e automatici, andando contro decenni di neuroscienze e psicoanalisi, e quindi contro la poltrona Frau che le ho pagato con i miei tormenti psicologici, perché voglio andare contro la me nascosta che vorrebbe urlare ma non trova parole per farlo e che mi tormenta con tic nervosi, insonnie, fobie, nausee e pianti isterici. Non lo so se voglio educarmi al riconoscimento delle emozioni, perché anche se sono ossessionata dalle domande, forse in realtà non vorrei ricevere alcuna risposta, se non altro per il terrore ancestrale che la risposta non corrisponda a ciò che vorrei che fosse. Allora, in barba dei suoi schemi junghiani sulla lavagnetta dello studio, questo tremore che mi affanna, non è risultante psicosomatica del mio pensiero ossessivo, ma riflesso automatico al freddo proveniente da fuori, e che mi sono imposta di non accettare perché il sole ne tradisce l’appercezione, stimolando fantasie di calore primaverile. Questo mio vuoto silente interno al lobo temporale non è il tentativo della mia mente di tacersi, obnubilarsi dalle sue angosce, ma mancanza di sonno, meccanica risposta corporea ad una deficienza oggettiva.  Questa mia inappetenza non è indotta dal nervosismo conturbante che mi assale quando rimugino sulle mie perdite, ma è il rifiuto del mio corpo al solo pensiero della penuria alimentare che ho in frigo. Che amarezza.
 La vita è fatta di scelte semplici, è il pensiero delle ripercussioni di cui non sappiamo nulla che ci tormenta e ci rende impossibili le scelte nel presente. “Destino”, “cestino”… La differenza semantica è abissale ma quella grafica è sottile come il filo di fiato che emetto quando il pensiero si fa più insistente e il battito accelerato.  Elementi di instabilità da chiarire. Bah... E che penuria davvero, il mio frigo...

Ma aspetti un attimo: ho le spinacine congelate.

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